Sommario
Andare dallo psicologo per la prima volta potrebbe sollevare alcuni dubbi, domande e timori perché non si sa bene cosa aspettarsi, cosa dire e cosa succederà.
Spesso è presente la paura di essere giudicati, di non trovarsi bene. La cosa importante da ricordare è che il passo più difficile è stato però già fatto, perché si è trovato il coraggio per chiedere aiuto.
Quando c’è molta ansia rispetto a cosa si vorrebbe dire nel primo incontro con lo psicologo e si ha paura di dimenticarle quando si è li, una buona idea potrebbe essere di fare una lista da portarsi dietro. Si possono ad esempio annotare pensieri su:
- cosa si spera di ottenere da questo incontro;
- quali possono essere le difficoltà principali che si stanno vivendo;
- eventuali domande che si vogliono porre allo psicologo e così via.
Tutti questi piccoli accorgimenti potrebbero aiutare l’utente a tranquillizzarsi in vista del primo incontro.
Molte persone potrebbero inoltre mostrare timori perché non sanno bene chi è e cosa fa lo psicologo.
Cosa succede durante il primo colloquio con lo psicologo?
Nel primo colloquio con lo psicologo la conversazione si apre chiedendo all’utente qual è stato il motivo che lo ha spinto a richiedere questo consulto. Le successive domande che vengono poste dal clinico servono per aiutarlo a comprendere meglio le difficoltà che caratterizzano la situazione di malessere.
Nel rapporto tra psicologo ed utente ci sono alcuni elementi che lo contraddistinguono da altre forme di relazioni professionali. È infatti importante che la relazione sia caratterizzata da ascolto attivo da parte del clinico, un clima accogliente in cui il giudizio è sospeso, un interesse sincero verso le problematiche che l’utente espone, perché sono tutti elementi che consentono di sviluppare una successiva ed eventuale alleanza terapeutica.
Al termine del primo colloquio, lo psicologo fornirà un resoconto all’utente di tutte le informazioni che si sono scambiati al fine di valutare insieme la possibilità di intraprendere un percorso terapeutico composto da obiettivi di breve e lunga durata, in base alla tipologia di problematica presentata dall’utente.
Lo psicologo potrebbe aver bisogno di raccogliere informazioni aggiuntive sulla storia e la vita del cliente, pertanto potrà necessitare di un ulteriore colloquio conoscitivo in cui approfondire alcuni aspetti. Vediamo più nel dettaglio gli aspetti che caratterizzano la relazione tra psicologo e utente nel momento in cui si decide di intraprendere un percorso terapeutico.
Caratteristiche di un percorso terapeutico
La riflessione
Un punto centrale del percorso terapeutico che si stabilisce tra psicologo e utente si basa sulla riflessione. Il “rispecchiamento verbale” delle comunicazioni che avviene tra i due è infatti molto importante, perché obiettivo dello psicologo è quello di restituire al cliente sotto forma di riassunto quanto lui ha espresso, accertandosi così di aver intuito bene quanto è stato detto.
In questa situazione, l’utente può effettivamente rendersi conto del fatto che lo psicologo sta prestando lui attenzione. In un contesto come quello clinico è infatti fondamentale che la persona si senta accolta, ascoltata e capita, ed essendo un’esperienza poco comune nel mondo esterno, la riflessione aiuta a costruire fiducia e migliorare il rapporto terapeutico.
Secondariamente, la riflessione è un’esperienza comunicativa bidirezionale, perché se lo psicologo non ha ben compreso cosa volesse dire l’utente, quest’ultimo ha la possibilità di correggerlo. In questo modo, la riflessione aiuta a garantire che ciò che il clinico comprende deve corrispondere a ciò che il cliente stava cercando di trasmettere.
La riflessione aiuta a chiarire la comunicazione e quindi consente al terapeuta di comprendere l’esperienza del cliente.
La riflessione consente inoltre di poter cogliere gli stili comunicativi del cliente, perché coinvolge sia il contenuto (fatto) che il processo (sentimento). In altre parole, quando un utente dice, per esempio, “non riesco mai a concludere niente nella mia vita”, lo psicologo potrebbe semplicemente restituire questo contenuto “quindi, ti senti come se non stessi raggiungendo i tuoi obiettivi di vita”. O, in alternativa, lo psicologo potrebbe riflettere le emozioni trasmesse dal cliente rispetto a quel contenuto, ad esempio “sembri frustrato e forse appesantito, perché non riesci a raggiungere i tuoi obiettivi di vita”.
L’individuazione
Attraverso l’utilizzo della tecnica di individuazione, lo psicologo cerca di chiarire e individuare il significato specifico del cliente rispetto a qualche evento o interazione. Questo è importante per comprendere come le persone interpretano e vivono emotivamente alcune situazioni specifiche.
Se un utente dice ad esempio “ieri sera sono rientrato tardi perché ero con amici e mia moglie si è arrabbiata con me”, ricorrendo all’individuazione lo psicologo potrebbe chiedere “cosa intende con ‘arrabbiata’? Cosa ha fatto o ha detto effettivamente?”.
Rispetto ai diversi contenuti che l’utente può esprimere è importante porre anche domande più specifiche e dettagliate. Se ad esempio un cliente afferma “mio padre mi picchiava”, lo psicologo potrebbe porre alcune domande del tipo “quanto spesso la picchiava? Come? In quali situazioni?”.
Questo è importante soprattutto in quelle situazioni o esperienze di vita che sono particolari per il cliente. Individuare gli aspetti dolorosi dell’esperienza del cliente favoriscono in lui la percezione che lo psicologo è attento e premuroso, che quell’ambiente è per lui uno spazio in cui si possono affrontare e “ispezionare” cose difficili piuttosto che evitarle e rimandarle.
Domande a risposta aperta
Costituiscono il complemento dell’individuazione. Una domanda a risposta aperta è una domanda che spinge l’utente ad un racconto, piuttosto che ad una risposta semplice come “si o no”. Invita cioè il cliente a riflettere sulla propria esperienza, elaborare e fornire ulteriori dati. Ad esempio, anziché chiedere al cliente “è felice del suo lavoro”, lo psicologo potrebbe dire “mi racconti qualcosa in più della sua esperienza lavorativa”.
Confronto
Il confronto è una tecnica che viene utilizzata per evidenziare discrepanze tra ciò che afferma il cliente e ciò che viene osservato. Può evidenziare incongruenze nella storia del cliente e aiutarlo ad affrontare i fatti e le effettive conseguenze del proprio comportamento.
Solitamente si ricorre a questa tecnica quando devono essere confrontati fatti oggettivi ed è utile per far emergere la verità, anziché il giudizio.
La Self-Disclosure
Rivelare un aspetto dell’esperienza dello psicologo è un’altra tecnica che può essere utilizzata per stabilire un rapporto, supportare emotivamente il cliente e mostrare empatia. Tuttavia, diverse scuole di psicoterapia hanno approcci diversi all’auto-rivelazione e diversi clienti trarranno beneficio dai diversi livelli con cui questa viene praticata. Una buona regola pratica è quella di affrontare il problema caso per caso e di soppesare i benefici rispetto ai rischi con attenzione, valutante le problematiche specifiche e le persone coinvolte.
Ad esempio, se il cliente dice “la gente pensa che sia stupido perché non so leggere bene, ma in realtà sono dislessico”, lo psicologo o psicoterapeuta potrebbe rispondere “anche io sono dislessico. Ho avuto esperienze simili a scuola”.
Il rischio potrebbe essere che il cliente interpreti questa informazione come un vantarsi, ad esempio “nonostante sono dislessico ce l’ho fatta, perché ti lamenti?”; ma l’obiettivo in questi casi è che il cliente veda nel clinico un vero alleato che comprende la sua emotività oltre che un esempio di successo, così da invogliarlo ad aprirsi di più e a sforzarsi di raggiungere i propri obiettivi nonostante gli ostacoli.
Il silenzio
Miles Davis, musicista e compositore di Jazz, una volta disse “non è la nota che suoni, ma quella che non suoni che conta”. Il silenzio può essere ricco di significato. Nella relazione terapeutica, le pause nella conversazione possono creare uno spazio di auto-riflessione, in cui pensieri ed emozioni possono diventare più chiari e favorire la consapevolezza.
Si può anche trasmettere conforto con il silenzio, perché significa che si è raggiunta una sana intimità. Il silenzio favorisce nel cliente la possibilità di elaborare e comprendere ciò che viene detto, di promuovere l’introspezione e consentire loro di reintegrare le emozioni.
Ad esempio, se un cliente dice “mi arrabbio così tanto che ho voglia di picchiarla”, il terapeuta potrebbe rimanere in silenzio. Dopo una pausa, il cliente potrebbe aggiungere “e poi mi sento immediatamente in colpa e mi sento un marito schifoso”. Il silenzio ha quindi permesso che emergesse un quadro emotivo più completo.
La focalizzazione
Anche questa tecnica viene utilizzata per garantire che il focus dell’attenzione rimanga sul lavoro che si sta svolgendo in terapia. A volte i clienti possono divagare e iniziare a parlare di cose secondarie che, sebbene interessanti, distolgono dalla narrativa principale.
Le ragioni potrebbero essere diverse. Alcuni clienti potrebbero fare fatica ad affrontare certi argomenti, altri semplicemente hanno la tendenza a passare da una cosa all’altra senza approfondirne nessuna, altri fanno fatica ad affrontare le emozioni legate ad un evento doloroso e così via.
In tutti questi casi, un commento delicato e mirato può aiutare a ricentrare la conversazione e reindirizzare l’attenzione sull’elemento centrale.
Volendo concludere, anche se l’idea di andare dallo psicologo potrebbe essere comprensibilmente spaventosa, in realtà può essere solo l’inizio di un processo che cambia la vita. Se dopo alcuni incontri non ci si sente a proprio agio si può sempre valutare di chiedere un consulto ad un altro specialista.
Le persone sono diverse e non tutti i coperchi si adattano a ogni pentola. Se invece si è stabilita una buona relazione terapeutica allora si potrà dar vita ad un nuovo modo di affrontare le difficoltà apprendendo le migliori strategie per affrontarle e ripristinando il proprio benessere psicologico.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro