La Pandemic Fatigue rappresenta una forma di stanchezza come risposta naturale ad una prolungata crisi della salute pubblica. Nello scenario attuale, la pandemia continua a produrre impatti drammatici sulla mobilità, sulla quotidianità, le interazioni sociali e il benessere psicologico.
Il cambiamento delle abitudini ha alterato la percezione generale della normalità, mettendo a dura prova la capacità di dare un senso al mondo che ci circonda.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha quindi iniziato a focalizzare l’attenzione sulla Pandemic Fatigue, una forma di stanchezza che comporta una diminuzione della motivazione a seguire le direttive relative alla salute. La sfiducia e questa particolare stanchezza generano anche comportamenti malsani legati all’alimentazione e all’utilizzo di sostanze.
Psicologia e Pandemic Fatigue
Per capire cos’è la “stanchezza pandemica”, può essere utile comprendere la psicologia alla base dei disastri. Un modello che è stato spesso utilizzato per comprendere le esigenze delle persone colpite da una catastrofe è il Modello delle fasi del disastro proposto da Zunin e Meyers (2005).
Secondo questo modello ci sono sette fasi nella risposta al disastro:
- fase del pre-disastro: questa fase presuppone la probabilità che un disastro sia imminente; ad esempio un incendio boschivo vicino la città, un uragano che si avvicina. Durante questa fase è probabile che le autorità emettano continuamente avvisi di pericolo di ciò che potrebbe accadere;
- fase dell’impatto: in caso di calamità naturali, questa fase può durare da minuti a giorni. Durante le crisi economiche e pandemiche, la durata di questa fase può essere invece di settimane o mesi. L’esperienza centrale in questa fase è legata ad una maggiore angoscia e senso di perdita di controllo;
- fase eroica: nel caso specifico di una pandemia, da una parte si cerca di mantenere alto il livello di attenzione sul pericolo presente e dall’altra di confortare la popolazione rispetto a tutte le azioni che si intraprenderanno. Le emozioni di questa fase sono contrastanti, perché si possono vivere momenti di shock, aumento dell’ansia e della rabbia, calo del tono dell’umore e così via.
- fase della luna di miele: di tutte le fasi di un disastro, questa produce un impatto maggiore sulle emozioni e le energie. Durante le catastrofi naturali, ad esempio l’obiettivo è cercare e salvare quante più persone possibili. Le persone tendono a collaborare tra di loro per darsi forza, provando a mantenere un atteggiamento ottimista;
- fase della disillusione: questa fase è in netto contrasto con quella precedente, poiché l’ottimismo iniziale si trasforma in scoraggiamento e lo stress continua a farsi sentire. Subentrano anche reazioni negative come l’esaurimento fisico o l’uso di sostanze. Il crescente divario tra bisogno e assistenza fa insorgere sentimenti di abbandono.
La fase della disillusione
Come detto precedentemente questa è una fase della risposta alle catastrofi che può durare diversi mesi. In questa circostanza, i “sopravvissuti” iniziano a rendersi conto dei limiti dell’assistenza e del supporto che possono ricevere.
L’esaurimento fisico e psicologico è determinato dalla presenza di situazioni problematiche in cui la soddisfazione dei bisogni finanziari, fisiologici, relazionali, di sicurezza e psicologici viene meno.
Le persone colpite dal disastro iniziano a comprendere meglio la loro perdita ed il divario tra ciò che vivono oggi e la loro vita prima della catastrofe. In questa fase della risposta allo disastro, i fattori di stress, il senso di abbandono, lo scoraggiamento e la stanchezza iniziano a farsi strada determinando sempre più un senso di isolamento e alienazione. Lo stress e la stanchezza che molti oggi stanno sperimentando si iscrivono in un trauma collettivo che può apparire inesorabile ed estenuante.
Come risponde il cervello allo stress
La neurobiologia ci insegna che fattori di stress intensi determinano senso di affaticamento e sopraffazione. In situazioni di questo tipo, il nostro sistema nervoso entra in una modalità di risposta allo stress nel tentativo di aiutarci a superare le sfide che affrontiamo e adattarci al momento presente.
Sebbene questo sia immensamente utile, quando lo stress è prolungato il sistema nervoso inizia ad affaticarsi, mentre il nostro corpo e la nostra mente continuano a restare in una situazione di allerta. Questo può determinare un esaurimento e affaticamento del sistema nervoso e produrre conseguenze sulla salute mentale, fisiologica e sul benessere generale. Pertanto, comprendere come funziona il nostro corpo, la nostra mente e il sistema di risposta allo stress può aiutarci a capire come prendersi cura di sé.
Creare un senso nuovo: l’uso della metafora
Rispetto alla pandemic fatigue , la Dottoressa Luciara Nardon e Amrita Hari, entrambe Docenti presso la Carleton University, Canada, hanno cercato di fornire una spiegazione sul perché la pandemic fatigue inizia a colpire gran parte della popolazione mondiale.
Le autrici dello studio hanno cercato di comprendere come le persone danno un senso e significato alle loro esperienze durante la pandemia COVID-19. Durante questa analisi hanno intuito che l’utilizzo della metafora può rappresentare un ottimo strumento di coping.
La metafora è una figura retorica in cui un tipo di oggetto o idea viene utilizzato per comprendere o spiegare qualcosa attraverso il meccanismo della somiglianza o analogia.
Combinando e riorganizzando caratteristiche astratte e concrete, le metafore hanno il potenziale di influenzare i processi di pensiero, gli atteggiamenti, le credenze e le azioni. Aiutano cioè a dare un nuovo senso e significato alle situazioni, stimolando anche delle nuove azioni.
Ad esempio, si è sentito spesso parlare di “terza ondata” per fare riferimento alla crescita dei casi COVID-19. In questa circostanza, si può fare ricorso alla metafora delle “onde” per facilitare la comprensione di una situazione complessa e astratta come quella della diffusione del virus.
Le metafore rendono tangibili le esperienze e il desiderio mettendoci nella posizione di vedere ipotesi, comportamenti e risorse che possono supportare dei nuovi obiettivi. Come strategia di intervento, le metafore aiutano quindi a comprendere meglio le situazioni che si vivono. Le metafore sono solitamente utilizzate nel contesto della ricerca, del counselling psicologico e nella pratica terapeutica per aiutare le persone a dare un senso alle situazioni e trovare nuovi modi per affrontare i problemi.
Secondo le ricercatrici, ricorrendo all’immaginazione chiunque può servirsi delle metafore per far fronte alla pandemic fatigue scoprendo così nuove modalità per affrontare un momento difficile. Le autrici illustrano questo processo scomponendolo in quattro fasi.
Creare e immaginare le metafore
Fase 1: identificare un obiettivo o un desiderio che si può controllare
L’obiettivo dovrebbe descrivere ciò che la persona desidera in termini positivi. In tal senso, la persona potrebbe chiedersi “cosa mi piacerebbe che accadesse?”. Dovrebbe essere qualcosa che non è ancora accaduto, contiene cioè un desiderio o un bisogno positivo che non deve includere alcun riferimento al problema.
Le ricercatrici riportano l’esempio di uno dei partecipanti alla loro ricerca, Tim, che stava soffrendo a causa dell’impossibilità di poter andare a trovare i propri familiari come conseguenza delle restrizioni e delle regole sul distanziamento sociale. Tim, nonostante potesse vedere i propri cari attraverso la video-chiamata si sentiva comunque solo e insoddisfatto.
Mentre rifletteva su ciò che gli stava causando dolore, ha identificato il suo obiettivo: “essere in grado di sentirsi soddisfatto delle connessioni virtuali”.
Fase 2: immaginare una metafora che descriva come si può raggiungere l’obiettivo
La metafora, in questo contesto, ha la funzione di creare una rappresentazione dell’obiettivo raggiunto. Si può iniziare a pensare ad un nome per poi elaborare le sue caratteristiche attraverso degli aggettivi.
Per tornare all’esempio di prima, Tim ha immaginato un satellite ben strutturato. Un oggetto che consente una connessione forte e affidabile e che garantisce la comunicazione anche a lunghe distanze.
Fase 3: sviluppare la metafora concentrandosi sui dettagli
Tim ha continuato a immaginare il suo satellite rispondendo alla domanda “C’è qualcos’altro su questo satellite che può aiutarmi a raggiungere l’obiettivo?”. Attraverso questo processo, ha esplorato le diverse opzioni positive che il satellite metteva lui a disposizione.
Ricorrendo all’esplorazione, l’elaborazione e l’articolazione, Tim si rese conto che ciò che per lui era fondamentale del suo satellite era la connessione. Aveva bisogno cioè di focalizzarsi di più su quei momenti in cui gli altri stavano cercando di creare una connessione con lui anche se a distanza.
Fase 4: identificare cosa dovrebbe accadere affinché la metafora dia un significato nuovo e positivo
Gli obiettivi che ci si pone devono necessariamente essere suddivisi in micro-obiettivi, ossia passaggi realizzabili per articolare un’azione o un risultato da raggiungere. È bene quindi chiedersi: “cosa può accadere? Potrebbe succedere questa cosa?”.
Queste domande devono essere ripetute finché non si riesce a creare nella mente un’immagine in cui ciò che potrebbe accadere sia chiaro e realizzabile.
Tim, ad esempio, decise che ogni mattina avrebbe telefonato alle persone che gli mancavano. In questo modo, sostituendo un pensiero negativo con un obiettivo preciso – mantenere la connessione con gli altri – il dolore della distanza iniziò a diminuire.
Conclusioni
Secondo le ricercatrici, questo processo può essere ripetuto per vari obiettivi ed è una pratica utile da coltivare durante il periodo che si sta vivendo.
Le metafore rappresentano quindi uno strumento utile nella cura di sé, perché favoriscono la creazione di un nuovo senso di empowerment ed un cambiamento di mentalità utili ad affrontare la pandemic fatigue.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro