Sommario
Il termine omofobia fa riferimento ad una paura o un pregiudizio nei confronti degli omosessuali. A livello culturale l’omofobia può manifestarsi in restrizione dei diritti di espressione individuali o, in casi estremi, attraverso atti di bullismo o violenza verso gli omosessuali.
Il termine omofobia nasce alla fine negli anni ’60 ad opera dello psicologo clinico e americano George Weinberg, che pubblica un libro “Society and Healthy Homosexual” in cui introduce e fornisce spiegazioni sociologiche circa questo nuovo fenomeno culturale.
Nonostante il suffisso “fobia” indichi generalmente una paura irrazionale, nel caso dell’omofobia la parola si riferisce invece ad una disposizione attitudinale che va dalla lieve avversione all’odio per le persone che intraprendono relazioni sessuali o romantiche con individui dello stesso sesso.
Essendo un fenomeno che varia nel tempo e tra le diverse culture, l’omofobia è anche definita una risposta culturalmente condizionata verso l’omosessualità.
Cenni storici sull’omofobia
Nell’epoca pre-moderna si parlava molto poco dell’omosessualità femminile. Se pensiamo che ancora oggi molte donne faticano a condividere i propri bisogni e desideri sessuali, è inevitabile che l’attrazione omosessuale non sia stata documentata.
Per quanto concerne invece il genere maschile, nelle culture antiche il desiderio sessuale nei confronti di un individuo dello stesso sesso veniva considerata una forma di amore accettabile.
È durante il periodo medioevale, con l’instaurarsi di correnti teologiche quali il cristianesimo e l’islam, che le intolleranze verso il comportamento omosessuale iniziò a crescere sempre di più. Per comprendere l’impatto culturale dell’omofobia, è necessario pertanto allargare lo sguardo sul modo in cui la società in generale si è approcciata all’omosessualità.
Nelle culture occidentali alla fine del XIX secolo, alcune correnti di ricerca psicologiche iniziarono a studiare più approfonditamente l’omosessualità, inquadrandola non più come un comportamento temporaneo, ma come qualcosa di immutabile, appartenente all’identità dell’individuo.
Con il passare del tempo, l’industrializzazione ha fatto sì che gran parte delle persone si trasferisse dalle aree rurali a quelle urbane, permettendo così agli individui omosessuali di incontrarsi, inizialmente mantenendo l’anonimato. La maggiore visibilità, la possibilità di vivere ed esternare la propria omosessualità determinò così un approccio scientifico allo studio dell’omosessualità.
Omofobia: le prime teorizzazioni
Il termine omosessualità fu usato per la prima volta nel 1868 e lo ritroviamo nel trattato di Richard von Kraff-Ebing dal titolo “Psychopathia Sexualis” (1892), nel quale l’omosessualità veniva descritta come una “fissazione” del desiderio sessuale.
Alcuni anni dopo, Sigmund Freud rese popolare l’idea errata che l’omosessualità derivasse dall’educazione ricevuta dal bambino, scrivendo:
“La presenza di entrambi i genitori gioca un ruolo importante. L’assenza di una figura maschile nell’infanzia favorisce non di rado il verificarsi dell’inversione”.
Freud diede anche consigli ai genitori su come educare i figli con l’obiettivo di accompagnarli verso un adattamento eterosessuale.
Iniziarono così a nascere organizzazioni omosociali (ad esempio, club sportivi, boy scout e così via) per tutti quei ragazzi che non avevano la possibilità di trascorrere molto tempo con i loro padri per via del lavoro.
Si credeva erroneamente, e spesso accade anche oggi, che l‘insegnamento della mascolinità ai ragazzi e della femminilità alle ragazze fosse in grado di impedire ai bambini di diventare omosessuali.
Aspetti sociologici dell’omofobia
Quando si parla di sessualità e soprattutto di genere, ancora oggi subentra una strana paura. Oscar Wilde, che nel 1895 è stato condannato con l’accusa di “grave indecenza” è un esempio di come una sentenza e tutte le sue ripercussioni mediatiche possano rinforzare convinzioni sbagliate.
Il gusto per l’aspetto estetico che Wilde promuoveva, insieme alla sua inclinazione per l’arte, ha contribuito a formulare il sospetto che gli uomini che condividevano il fascino femminile di Wilde in termini di interessi, potessero in qualche modo essere omosessuali.
L’insieme di queste congetture prodotte a livello sociale e culturale hanno contribuito a promuovere lo stereotipo secondo cui l’omosessualità esisteva tra gli uomini con inclinazioni femminili. Questo a sua volta determinava un’altra ipotesi errata e cioè che gli uomini mascolini non potessero essere sospettati di interessi omosessuali.
Il potere dell’omofobia è tale che gli individui omosessuali spesso si sentono culturalmente obbligati a travisare la loro sessualità al fine di evitare lo stigma sociale. Tuttavia, l’omofobia ha un impatto anche sugli eterosessuali, poiché è impossibile dimostrare in modo definitivo la propria eterosessualità.
Di conseguenza, gli eterosessuali e gli omosessuali che desiderano essere ritenuti eterosessuali sono costretti a evitare di associarsi a qualsiasi cosa venga codificata come omosessuale. Ciò si ottiene attraverso la ripetuta associazione con i codici culturali dell’eterosessualità e la dissociazione dai codici per l’omosessualità.
Al contrario, il sospetto che qualcuno sia omosessuale viene spesso gettato su chiunque mostri un comportamento codificato per genere, cioè considerato socialmente appropriato per il sesso opposto.
Per gli uomini, gli sport di squadra competitivi, la violenza, le auto, la birra e il non dover manifestare le emozioni sono stati associati alla mascolinità, e quindi all’eterosessualità; mentre, l’apprezzamento per le arti, il buon cibo, il gusto estetico e l’espressività emotiva sono stati associato all’omosessualità. Per le donne, questa equazione è invertita.
L’omoisteria: gli studi di Eric Anderson
La cultura omoisterica, termine introdotto da Eric Anderson, rappresenta un tipo di società che si regge sulla combinazione di una consapevolezza dell’omosessualità da una parte e un alto grado di omofobia dall’altra.
In una cultura di questo tipo, si ritiene che chiunque possa essere gay, e, di conseguenza, i comportamenti sociali, sessuali e personali degli eterosessuali sono limitati perché gli uomini temono l’associazione con la femminilità e le donne con la mascolinità.
In una cultura omoisterica, gli individui si preoccupano di dimostrare la loro eterosessualità perché l’omosessualità è stigmatizzata.
Al contrario, quando l’omofobia è il fattore dominante e gli individui generalmente non credono nemmeno che l’omosessualità sia “possibile” – come in molte culture mediorientali, africane e asiatiche – non è necessario dimostrare ai propri coetanei che non si è gay.
Questo aspetto lo ritroviamo in una dichiarazione dell’Ex Presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad in un discorso negli Stati uniti del 2007 in cui affermava che il suo paese non aveva omosessuali, perché “l’omosessualità è considerata una malattia dei bianchi”.
Tuttavia, in alcune culture altamente omofobe, ma non omoisteriche, agli eterosessuali viene concessa maggiore libertà di espressione di genere. Gli uomini possono, ad esempio, tenersi per mano, perché si parte del presupposto che non ci siano omosessuali, mentre il tenersi per mano tra gli uomini Occidentali solleva sospetti omosessuali. E questo proprio perché è presente l’omoisteria.
L’omosessualità oggi
L’omofobia e l’omoisteria tipiche delle società occidentali hanno raggiunto il picco con la diffusione dell’AIDS negli anni ’80. La malattia ha portato una maggiore consapevolezza che gli omosessuali esistevano in ogni istituzione sociale e la natura infettiva della malattia ha contribuito ad aumentare lo stigma verso l’omosessualità.
Man mano che le dottrine religiose si imponevano sempre di più, negli Stati Uniti, durante questo periodo, gli uomini erano particolarmente risoluti ad allineare i loro comportamenti e la loro identità con l’eterosessualità.
Contemporaneamente a queste vicende, vi è stata anche una crescita della difesa politica per i diritti degli omosessuali e un’abolizione delle leggi punitive e restrittive dell’omosessualità.
È infatti all’inizio del XXI secolo che l’AIDS è stato riconosciuto come un problema degli eterosessuali quanto degli omosessuali. Questo aspetto, combinato ad una maggiore libertà di espressione, alla diminuzione dell’omofobia da parte di alcuni rami del cristianesimo, alla capacità degli eterosessuali di socializzare con gli omosessuali, e una maggiore consapevolezza che l’omosessualità è prodotta biologicamente, ha contribuito a ridurre notevolmente l’omofobia culturale.
Questo ci porta quindi a concludere che, se si è capaci di esprimere una gamma di comportamenti di genere indipendentemente dalla propria sessualità, forse ciò che ancora oggi stigmatizziamo non è tanto l’omosessualità, ma quanto la paura di somigliare agli omosessuali, e quindi l’omofobia stessa.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro