Violenza domestica e abuso: teorie a confronto

La violenza domestica è diventato argomento centrale nella comunicazione mediatica degli ultimi anni. Ogni giorno, i notiziari riportano casi di violenza che spesso, purtroppo, sfociano in un femminicidio.

Poiché i fattori correlati alla violenza domestica sono molti e complessi, l’obiettivo di questo articolo è quello di esaminare le diverse prospettive teoriche presenti in letteratura nel tentativo di spiegare e comprendere la natura della relazione abusante.

Violenza domestica: le diverse forme di abuso

Con il termine violenza domestica si fa riferimento ad un modello di comportamento abusivo che prende forma all’interno di una relazione. Il partner abusante cerca di spaventare, isolare la vittima nel tentativo di ottenere e mantenere un controllo su di lei.

Esistono diverse forme di abuso che caratterizzano la violenza domestica. Vediamole più nel dettaglio.

Quando il partner prova a colpire, mordere, percuotere, spingere e così via ci troviamo di fronte ad un abuso fisico. In questi casi, la vittima può essere anche costretta a fare uso di droghe o alcool per lenire lo stato di malessere. L’aggressore vuole cioè evitare che la vittima possa ricorrere a cure mediche esterne.

Nella violenza domestica può essere presente anche l’abuso sessuale. L’aggressore costringe o tenta di costringere la vittima ad avere un contatto sessuale senza il suo consenso. Nella letteratura scientifica questo prende anche il nome di stupro coniugale, in cui la violenza fisica è accompagnata da una costrizione di tipo sessuale.

Esiste poi una forma di abuso molto più subdola e a tratti impercettibile. Stiamo parlando dell’abuso emotivo; il partner abusante svaluta continuamente la vittima attraverso critiche costanti. L’obiettivo è quello di far crollare l’autostima dell’altro per poterne esercitare meglio il controllo.

Nei casi di violenza domestica si riscontra spesso anche l’abuso economico. L’aggressore fa di tutto pur di rendere la vittima finanziariamente dipendente, non permettendole di accedere alle risorse economiche e proibendole di trovare un lavoro. A questo segue spesso una rassicurazione volta a manipolare la vittima. Partner di questo tipo rassicurano spesso le proprie vittime con frasi del tipo “non hai bisogno di andare a lavorare, perché penso io a noi”.

Invocare la paura attraverso l’intimidazione è invece una caratteristica centrale dell’abuso psicologico. Nella violenza domestica, il partner abusante può minacciare di far male a sé stesso, alla vittima, ai bambini e così via. Non di rado può anche accadere che alla vittima venga vietato di vedere i propri cari.

Nei casi di separazione o divorzio in cui era presente la violenza domestica, molto spesso il partner abusante ricorre allo stalking. Segue la vittima, la spia, la molesta presentandosi a casa o sul posto di lavoro, può inviarle dei regali, fare telefonate, lasciare messaggi scritti e così via. Valutati singolarmente, questi atti sono classificati come legali. Per configurarsi il reato di stalking è infatti necessario che tali comportamenti vengano eseguiti in modo continuativo.

Da questa breve presentazione si può quindi dedurre che non è il singolo fattore a generare la violenza domestica. Per tale motivo, cercherò adesso di esaminare le diverse teorie che possono aiutarci a comprendere meglio questo fenomeno complesso.

Teoria dell’attaccamento e violenza domestica

La teoria dell’attaccamento è una lente utile attraverso la quale comprendere il comportamento dei partner abusanti. Spiega come le esperienze della prima infanzia abbiano portato ad un modo particolare di vivere le relazioni intime.

Dal punto di vista della teoria dell’attaccamento, la violenza domestica può essere vista come un tentativo di stabilire o mantenere
un livello di sicurezza personale all’interno della relazione. Quando il partner abusante percepisce una situazione come minacciosa per la
propria relazione, può subentrare una reazione di ansia e allarme. L’individuo ricorre a risposte comportamentali disfunzionali atte a preservare il sistema di attaccamento.

Un comportamento violento può essere generato da una minaccia reale o immaginaria di abbandono o rifiuto da parte di una figura significativa. Utilizzando questa prospettiva teorica la violenza verso il partner può essere letta come tentativo di riguadagnare un livello confortevole di vicinanza. Dal punto di vista psichico, è cioè una modalità di gestire il conflitto tra due polarità opposte, il bisogno di vicinanza e quello di autonomia.

La ricerca ha dimostrato che lo stile di attaccamento adulto è un fattore di rischio per la violenza domestica. Diversi studi hanno identificato una relazione tra attaccamento di tipo insicuro e violenza verso il partner; ovviamente, il singolo stile di attaccamento non può bastare per spiegare un fenomeno così complesso, perché ciò che è importante comprendere riguarda anche le dinamiche della coppia.

La teoria di Lenore Walker: il ciclo dell’abuso

Lenore Walker ha sviluppato una teoria criminologica nel tentativo di spiegare le dinamiche sottostanti una relazione abusiva e quindi le cause della violenza. Questa prende il nome di ciclo dell’abuso.

Secondo Walker, il ciclo dell’abuso è caratterizzato da tre fasi distinte che vengono ripetute più e più volte nella relazione abusiva. Analizziamole nel dettaglio:

  •  Costruzione di tensioni: rappresenta il primo stadio. Durante questa fase, la vittima è spesso soggetta a forme di abuso verbale e psicologico come minacce e insulti. Le vittime presto si renderanno conto che le minacce verbali precedono solitamente la violenza fisica e tenteranno quindi di ritardarne l’esordio.
  • Abuso vero e proprio: il secondo stadio è più acuto proprio perché l’atto violento è caratterizzato da un’aggressione fisica incontrollata, che può essere estremamente violenta. È proprio durante questa fase che le vittime hanno più probabilità di subire ferite che vanno da contusioni, tagli, ossa rotte, deturpazione, aborti spontanei e, nei casi più estremi, la morte. L’episodio violento di solito dura solo pochi minuti.
  • Fase della luna di miele:  Generalmente, dopo questo evento, l’aggressore si mostra mortificato. Walker descrive questa terza fase del ciclo della violenza come amorevole e contrita. L’aggressore si scusa con la vittima, può farle dei regali, complimenti e promesse del tipo “non accadrà mai più”. La vittima si rassicura che il suo aguzzino la ama e che la relazione può essere salvata. In tal modo la vittima potrebbe iniziare a sentirsi responsabile per lo sfogo violento.

Prevedibilmente, il terzo stadio termina, la ricostruzione della tensione riprende ed il ciclo di violenza persiste.

Di conseguenza, la violenza domestica raramente comporta un singolo episodio isolato; piuttosto, l’abuso diventa uno schema ripetitivo della relazione.

Violenza domestica e teoria dell’apprendimento sociale

La teoria dell’apprendimento sociale è una delle prospettive esplicative più popolari nella letteratura sulla violenza domestica.

Spesso concettualizzato come “ciclo di violenza” o “teoria della trasmissione intergenerazionale” quando applicato alla famiglia, la teoria afferma che le persone modellano il comportamento in base a quello a cui sono stati esposti da bambini.

La violenza può essere appresa in diversi modi:

  • modelli di comportamento forniti dalla famiglia (genitori, fratelli, parenti e fidanzati/fidanzate);
  • direttamente o indirettamente: situazioni familiari in cui si è vittima o testimoni di violenza su altri membri della famiglia;
  • dall’infanzia prosegue in età adulta come risposta di coping allo stress o come metodo di risoluzione dei conflitti.

Durante l’infanzia e l’adolescenza le osservazioni su come i genitori e gli altri significativi si comportano nelle relazioni intime rappresentano la base iniziale sulla quale andranno a modellarsi le future relazioni adulte.

I bambini apprendono regole o principi attraverso l’esposizione ripetuta ad uno stile particolare di genitorialità.

Se la famiglia di origine ha gestito stress e frustrazioni con rabbia e aggressività, il bambino che è cresciuto in un tale ambiente è a maggior rischio di esibire quegli stessi comportamenti da adulto.

Gelles afferma che “non solo la famiglia espone gli individui alla violenza ma insegna loro che l’uso della violenza è approvato e normale”.

Il bambino si costruisce pertanto l’idea che comportamenti violenti siano un metodo efficace per risolvere problemi o modificare il comportamento dell’altro.

Teoria della colpa: quando l’aggressore incolpa la vittima

La teoria della colpa può aiutarci a comprendere un’altra dinamica tipica della violenza domestica. In questo caso, la tendenza dell’aggressore è quella di incolpare la vittima facendola sentire responsabile di ciò che succede.

Ciò che stupisce e a tratti lascia perplessi è come la modalità dell’aggressore si possa estendere anche a livello sociale. Si parte dal presupposto che ogni persona sia capace di riconoscere i pericoli che esistono e conseguentemente essere in grado di prendere tutte le dovute precauzioni per mantenere un certo livello di sicurezza.

Quando ciò non avviene, gli individui esprimono giudizi con estrema facilità senza rendersi conto della complessità di alcune dinamiche e relazioni. Nelle situazioni di violenza domestica, queste percezioni distorte spostano l’attenzione e la colpevolezza dall’aggressore alla vittima.

Non di rado, quando si discutono questioni di violenza familiare, violenza contro le donne o violenza sessuale, si sentono spesso affermazioni colpevolizzanti le vittime come “Perché non se n’è andata?”, oppure “Se l’è cercata!”.

All’interno di un contesto di violenza domestica, la colpa della vittima spesso include la condanna per la stessa per essere rimasta all’interno di una relazione abusante.

Violenza domestica e conseguenze psicologiche sui bambini

I bambini esposti alla violenza domestica sono a rischio di sviluppare problemi psicologici, disturbi psichiatrici, difficoltà scolastiche, comportamenti aggressivi e scarsa autostima. La paura che un evento violento possa ricapitare li porta a vivere in uno stato perenne di allarme. A seconda della loro età possono reagire in diversi modi:

  • in età prescolare possono sviluppare delle “regressioni“. Regrediscono cioè a degli stadi più infantili, come fare la pipì a letto,
    succhiarsi il pollice, piangere spesso e piagnucolare. Possono anche sviluppare disturbi del sonno, come difficoltà di addormentamento e incubi. Quando spaventati possono iniziare a balbettare o nascondersi in qualche parte della casa e mostrare segni di grave ansia da separazione;
  • in età scolare, i bambini possono iniziare a sviluppare un forte senso di colpa per le dinamiche di violenza domestica di cui sono protagonisti o testimoni. Spesso arrivano a incolpare loro stessi di quanto succede e questo lede profondamente la loro autostima. Potrebbero manifestare una scarsa partecipazione alle attività scolastiche e mettersi più spesso nei guai. Alcuni sviluppano anche disturbi somatici come mal di testa e mal di stomaco;
  • in adolescenza, i ragazzi che assistono agli abusi possono agire in modo negativo litigando spesso con i genitori o saltando la scuola. Possono assumere comportamenti rischiosi, come rapporti sessuali non protetti, fare uso di alcool e droghe. La loro autostima è scarsa e questo li porta a non riuscire a stringere rapporti amicali. Al contrario, potrebbero iniziare a litigare o a mostrare comportamenti verbali e fisici aggressivi verso gli altri. Questa risposta comportamentale è più comune negli adolescenti maschi che subiscono abusi durante l’infanzia rispetto alla controparte femminile. Le ragazze hanno invece maggiori probabilità di sviluppare disturbi alimentari e depressivi.

Volendo concludere, la violenza domestica rappresenta una situazione ad alto rischio sia per la vittima che per i bambini. Espone non solo a forme di abuso fisico e verbale, ma anche a ripercussioni psicologiche e traumatiche durature. Il suggerimento è quello di cercare un supporto professionale psicologico adeguato non solo per il proprio benessere personale ma anche per quello dei propri figli.

A cura della Dottoressa Giorgia Lauro